Gli operatori sanitari: prevenzione dei disturbi affettivi in gravidanza
Come si è visto, una lettura puramente medica della nascita preclude la comprensione di come la natura provveda alla cura e ne indichi le modalità: si tratta di un'impronta affettiva biologica che passa attraverso la dotazione ormonale e garantisce la sopravvivenza della specie. Grandi esponenti della psicanalisi hanno dimostrato come la cura del paziente e del bambino siano praticamente la stessa cosa, nel senso che entrambi hanno bisogno di essere scortati da un atteggiamento affettivo sano, ovvero ispirato a quell'accudimento fatto di un incrocio di femminile e maschile che fonda la vita, la sopravvivenza e la cura.
Abbiamo visto che la donna in gravidanza, non assimilabile a un paziente in quanto non malata, è soggetta però a un acuirsi della sua emozionalità che accentua la sua sensibilità e, rendendola simile al suo bambino, la espone alla necessità di un accudimento orientato al rispetto del suo stato emotivo e contemporaneamente consapevole e capace di sostenere le sue grandi potenzialità creative. Al momento del parto mamma e bambino sono al massimo della loro forza e al colmo della loro debolezza: per questo vanno scortati.
La conoscenza dei codici affettivi, del loro incrocio nella cura inteso come capacità di “stare con”, di identificazione e nel contempo di presenza che accompagna e guida con la propria esperienza, garantisce una capacità di cura sana che supera e mette in crisi qualsiasi raccomandazione di asetticità e distanza. Questi canoni ingiustificati di prassi medica al contrario creano un ambiente emozionale non accogliente che contribuisce grandemente al cattivo esito di molte situazioni e fa da base a tutte le rivendicazioni legali cui gli operatori vengono spesso sottoposti.
Come il bambino ha bisogno di una coppia di genitori che lo comprendano nella sua insicurezza e fragilità e che siano per lui dei riferimenti solidi su cui poter contare, di cui potersi fidare e da cui essere accompagnati per esprimere la propria competenza e vitalità, così i nostri pazienti hanno bisogno di sentirci coinvolti in maniera umana e partecipe, ma insieme interpreti del nostro ruolo di guida competente non per imporre comportamenti ma per consigliare le modalità più adatte per raggiungere gli obiettivi e per affrontare eventuali difficoltà. Si dovrebbe agire a sostegno delle capacità. Oggi i professionisti tendono a passare dall'asetticità, percepita dal paziente come indifferenza, a un altrettanto distaccato e indifferente appello alla libertà della donna per giustificare qualsiasi sua volontà o capriccio, quale la scelta medicalmente ingiustificata del parto cesareo: che è un altro modo per lasciarla nuovamente sola declinando qualsiasi responsabilità. Tale e quale a quanto accade nell'educazione di bambini precocemente abbandonati per esigenze personali cui viene permesso qualunque comportamento o capriccio come risarcimento del tutto inutile e peggiorativo per l'assenza patita.
La medicalizzazione del parto naturale è spesso una scelta non a tutela della mamma e del bambino, ma ispirata a criteri di pseudosicurezza o di comodità dell'operatore. La stessa diffusione nell'uso dell'epidurale si giustifica con la disinformazione sul senso del parto, sulla promessa di un evitamento del dolore presentato come privo di significato e segno degradante di un incomprensibile errore di natura. Non ci si preoccupa del vissuto intenso che lega madre e bambino nel momento della separazione, non ci si impegna in un'informazione e un'assistenza capace di proteggere e potenziare la caparbia capacità creativa del femminile: si promettono invece vani sconti e scorciatoie come se la medicina fosse lì non per aiutare chi non ce la fa, ma per migliorare e rendere più agibili le sfide della vita rese ingannevolmente più agevoli da seducenti sostituti.
Tali atteggiamenti sono la totale negazione della genitorialità, che richiede coinvolgimento, presenza partecipe e una guida che discende dalla competenza e dall'esperienza. E, come per i bambini, la distanza emotiva è spesso la causa di agiti, somatizzazioni, drammatizzazioni che spesso hanno il carattere di una rivalsa capace di mettere in crisi in maniera imprevista un'intera équipe. La risposta adeguata è fatta di ascolto e accompagnamento, fermo e autorevole, umile nel non promettere sicurezze impossibili, presente nel sostenere le capacità.
La riflessione sui codici affettivi proposta al personale come formazione implica inevitabilmente un ripensamento sulle modalità in cui ognuno di noi è stato accudito e cresciuto. Non ci può essere infatti un adeguato ascolto dell'altro se non si ha l'abitudine di ascoltare sé stessi: il retaggio di una cultura fondata su ben altra scala di valori crea spesso un'incapacità o un'abitudine a non guardarsi dentro che spesso impedisce un corretto rapporto di ascolto e di cura. La riflessione comune sulle istanze affettive di base che coinvolge anche i propri vissuti, scioglie nodi pregressi, apre alla consapevolezza e nutre la possibilità di agire nella propria professione secondo modalità gratificanti anche per i propri bisogni affettivi. E' quindi in qualche modo un ripensamento catartico.
Nel contempo la capacità di fornire al paziente un rapporto di cura fondato su un atteggiamento affettivo adeguato fornisce l'inestimabile occasione di sperimentare il piacere di un accoglimento sano, esperienza fondamentale che chiunque sa riconoscere, anche chi non ne ha avuto molteplici occasioni nella vita: cosa che cura non soltanto il fisico ma alimenta l'anima e collabora a costruire un atteggiamento di fiducia verso l'esistenza. “Chiunque sia stato privato di amore nell'infanzia, non smette mai di cercarlo, quell'amore, magari per tutta la vita” (Miller 2005). “...in nessuna età della vita una persona è invulnerabile di fronte alle possibili avversità e anche..in nessuna età della vita una persona è impermeabile a un'esperienza positiva”: infatti anche da adulti “ continuiamo ad avere bisogno non solo di essere amati e compresi, ma anche di sentire che altri possono percepire e condividere i nostri stati della mente”. (Siegel 2001)
Una cadenzata supervisione di gruppo con gli operatori per discutere insieme gli episodi clinici più rilevanti o controversi permette uno scambio pacato e una comune riflessione che incoraggia e rafforza l'intreccio delle competenze e attraverso il confronto fra il proprio e l'altrui vissuto educa e fa crescere la sensibilità di ognuno.
Prevenzione dei disturbi affettivi
Un personale educato alla comprensione e alla gestione dell'affettività è in grado, sia nel percorso fisiologico affidato all'ostetrica che nel colloquio medico, e ancor più nei corsi di accompagnamento alla nascita, di presentare alle donne in attesa la gravidanza come uno stato fisiologico che comprende un’altrettanta fisiologica modificazione degli affetti. Un atteggiamento adeguato da parte degli operatori permette alle gravide quindi di comprendere che il loro alterato stato emozionale è qualcosa di assolutamente naturale nella gravidanza, utile a prepararle all'incontro con il bambino. Questo aiuta le donne a comprendere che la presenza di ansietà e di una sensibilità accentuata nel loro stato è assolutamente fisiologica e le rassicura sulla propria “normalità”. Nel contempo incoraggia quelle fra di loro che si sentono più incerte o agitate a parlare delle loro emozioni, a non tacerle per vergogna o paura, a confidarle all'operatore per poterle condividere.
Ciò permette, molto precocemente, di individuare l'eventuale presenza di stati affettivi marcatamente alterati, ansietà, preoccupazioni esagerate, fobie, angosce, tutta una gamma insomma di disturbi emotivi che rimandano a vissuti precedenti la gravidanza e che la gravidanza, con il suo carico di progettualità e responsabilità, rende più accentuati. E' così possibile – ed è fondamentale farlo in alcuni casi – affiancare alla donna uno specialista durante i lunghi mesi della gravidanza che le possa permettere di ricostruire, comprendere e curare, prima della nascita del bambino, eventuali difficoltà affettive della propria vita pregressa che possono accentuare l'ambivalenza insita nella gravidanza e far nascere la paura di non essere adeguatamente preparata ad affrontare il difficile compito della maternità.
Il supporto proposto alla gravida non è inteso a stigmatizzare l'inadeguatezza della paziente ma a darle l'occasione per elaborare vissuti emotivi pregressi che, non risolti, tendono a rendere insicuro il suo percorso verso la maternità e fornirle quella genitorialità mancante che le permetta di godere pienamente il suo nuovo stato.
Invece di etichettare come depressione post-parto la sempre più diffusa comparsa del disturbo depressivo dopo la nascita del bambino quasi fosse una possibile normale conseguenza dell'evento nascita, sarebbe opportuno comprendere come la frequenza di questo sintomo trovi la sua ragione in nulla di biologico ma molto di culturale, sociale e nella totale mancanza di un' accurata comprensione dei mutamenti emotivi della gravidanza e di una qualsiasi adeguata prevenzione.
Se infatti la gravidanza con i suoi movimenti emozionali tesi a rallentare la donna, a produrre un ripiegamento attento e pensoso, ad accentuare la sensibilità per poter meglio capire l'esigenze del neonato, restano qualcosa di sconosciuto, si priva la donna fin dall'inizio di quelle sue risorse interiori che le permetterebbero di prepararsi all'evento: questo è ancora più vero in una cultura come la nostra dove l'identità femminile si è quasi completamente spostata sulla realizzazione professionale, dove si vive in un isolamento forzato privo di qualsiasi solidarietà e partecipazione, dove non c'è alcuna comprensione e disponibilità per chi si ritrova ad affrontare un evento molto impegnativo sul piano fisico ed emozionale che richiederebbe invece una coralità partecipativa sia nella considerazione del gruppo che nell'organizzazione della nuova fase di vita. Se poi questa solitudine generalizzata si coniuga con una storia personale in cui la depressione si è già fatta viva,
curata o non curata, o altre tematiche affettive di sofferenza e solitudine hanno reso più precaria la maturazione della persona, è molto facile che il peso del cambiamento da un lato e la paura della responsabilità dall'altro, possano accentuare l'ambivalenza affettiva che fisiologicamente accompagna la gravidanza e far emergere un senso profondo di inadeguatezza che può assumere toni drammatici. Ma non si tratta di un disequilibrio che accompagna il parto, quasi connesso in maniera necessaria con la nascita: la natura piuttosto rafforza emozionalmente la donna divenuta madre, non fosse che in un'ottica di sopravvivenza. Si tratta invece di un problema ambientale, sicuramente presente, a volte rafforzato da esperienze del passato: riconoscerlo serve per prevenire.
Problematiche emozionali che incidono sullo svolgimento della gravidanza e del parto
Una gravidanza assistita emozionalmente e consapevole del portato emotivo che consegue dalla trasformazione ormonale della donna permette una individuazione precoce di possibili stati di alterazione affettiva - che si possono esprimere in un'ampia gamma di sintomi di sofferenza - e di affiancarli non discriminandoli come patologici ma accompagnandoli in un'ottica di enpowerment. Un’équipe medico/ostetrica informata emozionalmente dunque rappresenta il primo passo verso la prevenzione: mette le gravide a loro agio ascoltandole e guidandole nella novità del loro sentire e può individuare precocemente la presenza di situazioni affettive che richiedono un supporto molto prima del parto.
Una donna ben seguita in gravidanza partorisce meglio, con maggiore coscienza di sé e delle proprie capacità e in un regime di collaborazione e fiducia. Molte difficoltà al parto sono spesso ascrivibili a una mancata familiarità fra la puerpera e l'équipe che la segue, ad esempio quando si tratta di incontri che avvengono esclusivamente in occasione del parto: ma l'abilità e la disponibilità all'ascolto di un'ostetrica può spesso risolvere situazioni apparentemente complicate e farle evolvere verso soluzioni inaspettate.
Tuttavia, anche in servizi preparati e attenti, possono sopravvenire situazioni di sofferenza in gravidanza che non andrebbero mai interpretate troppo semplicisticamente come problematiche solo mediche. Mi riferisco a iperemesi gravi, aborti ripetuti, MEF anche ripetute, nascita di bambini gravemente prematuri, infertilità. Tutte queste difficoltà che sopravvengono in gravidanza o che la impediscono non andrebbero mai viste infatti unicamente come problemi di un corpo non funzionante: la gravidanza infatti che è una parte cruciale della vita di una donna e di una coppia si snoda – come il resto della vita umana – su un piano che è sempre fisico e emotivo a un tempo. Considerare soltanto la difficoltà del corpo significa trascurare e non comprendere l'aspetto emozionale che l'accompagna e che deve essere seguito con uguale cura non solo nella doverosa elaborazione della difficoltà o del lutto ma anche e soprattutto nell' individuazione di quei fattori psichici che possono inconsciamente aver giocato un ruolo complementare nella problematica emersa.
L'esperienza infatti dimostra che alle patologie sopracitate si accompagna una più o meno marcata accentuazione dell'ambivalenza che accompagna la gravidanza. L'incertezza riguardo la possibilità e la capacità – pensiero che, come si è visto, in maniera occasionale accompagna il normale stato di gravidanza – sembra rimandare infatti a vicende della vita della donna o della coppia che accentuano e drammatizzano la sfiducia nella possibilità di emancipazione e successo rendendo difficile affrontare il passaggio evolutivo della maternità pur sinceramente e profondamente desiderato.
Da un punto di vista psicologico il percepire in sé un’insicurezza che sembra mettere in discussione o ordire contro il progetto creativo spesso si accompagna a un senso di vergogna e di colpa che porta a mimetizzare e nascondere il proprio vissuto: questo apre la strada al linguaggio del corpo che esprime senza censure una difficoltà tutta emozionale basata su un' insicurezza le cui radici si fondano su un passato orfano di una genitorialità “sufficientemente buona” per fare da base a una sana competenza affettiva. Con questa consapevolezza andrebbe impostata l'assistenza alle difficoltà della gravidanza a partire dalla diagnosi prenatale con il suo carico di incertezza e di angoscia quando il responso è negativo e si apre la scelta lacerante del che fare.
Ma le situazioni più gravi sono quelle in cui un apparente equilibrio nasconde in maniera più remota sofferenze e carenze mai adeguatamente elaborate e dove anche il successo creativo assume il significato inconsapevole di una compensazione tardiva. In questi casi è fondamentale che, accanto alla disponibilità emozionale di tutta l'équipe nel comunicare le difficoltà o gli eventi luttuosi, alla preoccupazione di proteggere la coppia da tutto ciò che può offendere la sua sensibilità offrendo la propria partecipata condivisione, sia possibile offrire un percorso temporaneo di assistenza affettiva teso non solo a consolare o recuperare la speranza, ma capace di ripercorrere eventuali storie dolorose in quel lutto annidate in attesa di farsi ascoltare, per spianare la strada a una diversa fiducia nella vita e rendere più facile e vicino un prossimo successo. Più gravi sono le difficoltà o i lutti, più faticosa è l'elaborazione del vissuto, più remota e rimossa è l'origine della sofferenza.
Anche il recente moltiplicarsi del problema dell'infertilità spesso rimanda direttamente alla mancata esperienza di una genitorialità sana capace di traghettare l'individuo dalla dipendenza alla capacità di misurarsi creativamente con le gioie e le fatiche dell'esistenza: a partire dal modo in cui si viene al mondo, in cui si è curati o meno da piccoli, in cui si è educati nel lungo percorso scolastico, circondati dalla cultura dominante del successo facile e superficiale, priva totalmente di un legame e di un rispetto verso quel passato da cui partire per svolgere nel mondo il proprio contributo di partecipazione e innovazione.
Un modello adeguato di cura
Il superamento della medicalizzazione della nascita deve dunque andare nella direzione della comprensione degli aspetti emozionali che la sostengono e la condizionano. L'équipe medica, ostetrica, infermieristica deve essere formata per poter esprimere una sana genitorialità nella cura che presta: questo aspetto diventa il primo fattore di prevenzione rispetto a esiti negativi.
Inoltre, la considerazione di come la nostra società abbia solo recentemente scoperto l'importanza della cura affettiva nella crescita della prole deve trasformare i luoghi della nascita in luoghi di diffusione di una cultura degli affetti altrove assolutamente trascurata che si faccia promotrice di una trasformazione emotiva della società attraverso le nuove coppie che intraprendono il cammino della genitorialità.
La consapevolezza inoltre di come questo sapere, ormai inconfutabile, sia in realtà tutt'altro che noto e diffuso, deve spingerci a comprendere che tutti i passi di crescita e maturazione possono essere percorsi da una diffusa incertezza emozionale che rende necessaria la presenza di un supporto là dove si intravvedono difficoltà, senza creare emarginazione o presunte nuove patologie, ma semplicemente intrecciando insieme attenzione e cura del corpo in quella sua straordinaria complessità che comprende anche le emozioni e fornire percorsi di assistenza e accompagnamento - in una salda complicità medico ostetrico psicologica – che faccia della nascita l'occasione per scuotere una società colpevolmente ignara delle basi fisico/emozionali su cui si fonda la sopravvivenza della specie.
La figura dell'ostetrica, per ruolo e, vorrei, per formazione, più adatta a seguire e proteggere la fisiologia della gravidanza, dovrebbe poter agire in piena autonomia, ricorrendo al coinvolgimento medico o psicologico là dove ne percepisca la necessità: e gli operatori implicati dovrebbero pienamente e umilmente collaborare per scortare la donna e la coppia verso la realizzazione del loro progetto, prestando la propria competenza per agevolare la capacità e superare eventuali lacune. Soltanto restituendo complessità alla vita si può sperare di interpretarla in una maniera che la protegga e la esprima nella sua profondità e bellezza.