La fisiologia degli affetti
Per quanto possa apparire paradossale, la conseguenza e responsabilità più grave che porta con sé l'eccessiva medicalizzazione della gravidanza e del parto è l'occultamento inconsapevole della fisiologia degli affetti che si esprime naturalmente nella nascita e che presiede alla sopravvivenza della specie umana: e se dico paradossale è perchè ritengo che la conoscenza non possa e non debba procedere per negazione o contrapposizione di saperi, ma piuttosto come sinergia fra di essi. Certamente il concetto di “fisiologia” degli affetti è relativamente nuovo nella storia del pensiero scientifico occidentale: la nostra filosofia ha sempre privilegiato l'idea astratta di “uomo”, trascurando completamente la differenza e la complementarità fra i due generi e ignorando che prima di diventare adulti si è bambini e che il percorso affettivo che si vive per crescere non è neutrale e quindi uguale per tutti, ma invece fortemente condizionato dai rapporti e dalle relazioni che ci accompagnano nel corso della vita a partire dalla gravidanza e dalla nascita. La scoperta dell'importanza della vita emozionale nell'uomo è molto recente, del dopoguerra: furono infatti gli eventi catastrofici del XX secolo, le due guerre mondiali con i loro milioni di morti, le sistematiche persecuzioni e la scientifica eliminazione di minoranze affettive quali portatori di handicap, ebrei, zingari, omosessuali e infine la bomba di Hiroshima – il massimo dell'abiezione perseguita con i mezzi scientifici e tecnologici della modernità - che costrinsero la neonata psicologia – non a caso ultima arrivata fra le trionfanti scienze occidentali – a rivedere le sue teorie nella direzione del riconoscimento della necessità di buone relazioni affettive per la sopravvivenza.
Non bastava infatti nutrire orfani accuditi in caldi istituti: l'assenza di una nutrice capace di occuparsi di loro singolarmente e di condividere con loro un rapporto emozionale faceva sì che morissero per marasma (crepacuore) o che cadessero vittime di epidemie letali per il mancato sviluppo di un adeguato sistema immunitario.
Da allora la psicologia ha fatto enormi passi avanti grazie a autori straordinari che hanno intrecciato gli studi etologici – per collocare l'uomo e il piccolo umano nella catena evolutiva cui appartengono – con l'osservazione dei comportamenti infantili nelle relazioni emotive significative per la loro sopravvivenza, e comparando tutto ciò con la sofferenza psichica e la cura in chi non ha ricevuto le attenzioni affettive adeguate: oggi abbiamo certezze su come il piccolo umano non possa esistere e sopravvivere se non all'interno di relazioni di accudimento e di cura adatte e di come l'assenza di tali cure rappresenti l'anticamera della patologia fisica e emotiva. Eppure questo sapere sulle emozioni e sulla loro importanza, su come gestirle e proteggerle, resta fuori dai reparti di ostetricia e dall'attività consultoriale; o, se c'è, appare come una pennellata complementare e superficiale da metter lì per fare bella figura, senza mai renderlo il fondamento e l'ispirazione per influire sulle modalità di assistenza e di cura, sia delle gravide che delle partorienti, dei neonati e soprattutto proporlo come strumento cardine per comprendere e poter accompagnare l'aspetto emozionale della gravidanza, traendone ispirazione per capire chi siamo e di quali atteggiamenti di cura abbiamo bisogno per sviluppare al meglio le nostre potenzialità di crescita e di realizzazione umana.
E’ abbastanza curioso infatti che si parli con estrema facilità di igiene e fisiologia relativamente alla salute fisica e non si ritenga altrettanto necessario definire la fisiologia che riguarda gli affetti, che pure conosciamo con altrettanta sicurezza. Credo infatti che non ci sia ostetrica incapace di definire un parto fisiologico o di individuare una situazione in cui è necessario l'ausilio dell'intervento medico, durante la gravidanza o al momento del parto, per difficoltà sopraggiunte improvvise o prevedibili.
Nella stessa maniera è possibile imparare a conoscere le emozioni che accompagnano la gravidanza, riconoscerne la fisiologia permettendo che possa esprimersi e sapere individuare eventuali disturbi o alterazioni affettive precocemente per poter mettere in atto modalità di cura e prevenzione che non solo proteggono la salute della gravida e del suo bimbo ma, attraverso l'elaborazione di vissuti emozionali compresi e condivisi, possono evitare pericolose somatizzazioni che spesso hanno tutto il sapore di una disperata e inascoltata richiesta di comprensione e di aiuto.
Gravidanza e nascita da un punto di vista emozionale
Niente più della gravidanza e della nascita permette una riflessione sulle basi emozionali della sopravvivenza umana.
La vita umana infatti, molto più di quella animale che ha ben altre capacità di resistenza e adattamento, presuppone un ambiente adeguato per la sopravvivenza: oggi sappiamo che ciò non si riferisce esclusivamente all'ambiente materiale ma innanzi tutto e principalmente all'aspetto affettivo della cura e della “preoccupazione” materna. Vari autori, e fra questi pionieristicamente John Bowlby, hanno dimostrato come il coinvolgimento e la disponibilità emozionale siano condizioni fondamentali per l'accoglimento e l'assistenza del neonato: questi atteggiamenti affettivi precedono e condizionano la presa in cura fisica da parte della madre e in quanto tali non sono “optional” declinabili in maniera arbitraria ma modalità di attenzione e accoglimento tanto fondamentali per la sopravvivenza da indurre la natura a vincolarle e a veicolarle attraverso il substrato ormonale della nostra corporeità.
Se non ci fosse infatti al momento del parto un'emozione materna – sostenuta dalla trasformazione ormonale - orientata al piacere dell'incontro agognato e del contatto accogliente con la propria creatura che fa da interlocutore alla ricerca spasmodica da parte del bambino del corpo e del calore materno e delle sue mammelle, il neonato potrebbe essere abbandonato e lasciato cadere nell'indifferenza. Sarebbe stato il colmo della follia biologica, osserva Bowlby, lasciar dipendere questi comportamenti così cruciali per la sopravvivenza esclusivamente dall'apprendimento individuale. Gli atteggiamenti affettivi di base sono quindi “naturali”, condizionati da esigenze di sopravvivenza, elementi costitutivi della corporeità e dell'esistenza umana. Cade con ciò definitivamente nel XX secolo l'arbitraria separazione fra corpo e mente che ha per secoli accompagnato e afflitto lo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico occidentale: l'esistenza umana si dà in una strordinaria complessità che è ad un tempo corporeità, emozione e ragione, teatro e custode di sensazioni e emozioni che stimolano e sviluppano le capacità cognitive superiori. “Quando l'uomo occidentale ha cominciato a sospettare che il nostro pensiero potesse provenire da qualcosa che ci costituisce dal di dentro è ricorso all'idea del demone, o al mondo delle idee o delle categorie logiche. Lo studio del codice vivente si sposta invece dal mondo delle idee al mondo degli affetti...Lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale ha dimenticato che il soggetto trova la sua fondazione su una base biologica che è ancora più materiale delle strutture socioeconomiche...” anche se “...per generare affetti, sogni e pensieri, il codice vivente, essendo insaturo, ha bisogno di incontrarsi con una esperienza storica che originariamente è data dalla madre e dal padre” ( Fornari 1981).
Se dunque osserviamo la nascita e ci esercitiamo a leggerla nella sua dimensione emotiva ci ritroviamo di fronte a uno straordinario libro aperto che ci suggerisce quali siano le modalità affettive, sostenute dal loro substrato ormonale, che presiedono allo sviluppo affettivo e cognitivo del piccolo umano nella sua splendida avventura nell'esistenza.
L'accoppiamento sessuale umano è biologicamente parlando opera di una corporeità e emotività adulta. L'emotività adulta si muove nell'ambito della complementarità, dello scambio e della reciprocità, conquista e acquisizione dopo un lungo percorso di crescita che trasforma la dipendenza infantile in una identità autonoma.
Il piccolo umano infatti, come è stato puntualizzato più sopra (PNE), fra tutti i mammiferi è quello che necessita del tempo più lungo per divenire adulto in quanto nasce più fragile, meno attrezzato per il confronto con la vita extrauterina a causa della comparsa nella catena evolutiva della corteccia cerebrale il cui sviluppo è molto lento e complesso. Se comparato con il mondo animale, il tempo necessario perchè il piccolo umano possa raggiungere un grado analogo di maturità all'atto della nascita sarebbe di 24 mesi: ma nel passaggio evolutivo della specie umana dalla posizione a quattro zampe a quella eretta, si sono trasformati e modificati nella donna l'ampiezza del bacino e il canale da parto, costringendo la natura al graduale compromesso dei nove mesi che però la dice lunga sull'immaturità fisica ed emotiva del mammifero umano quando si affaccia alla vita extrauterina: molto infatti della maturazione avverrà dopo il parto. A ben guardare infatti gli animali, meno dotati di intelligenza corticale, sono tuttavia molto più attrezzati e naturalmente protetti per confrontarsi con difficoltà, intemperie, faticosi e ingegnosi adattamenti per sopravvivere.
Fra animale e uomo c'è anche una significativa trasformazione nella riproduzione della specie che va letta e interpretata: le femmine animali infatti hanno un certo numero di “calori” che le rende disponibili all'accoppiamento con l'unica finalità della riproduzione. Non esiste una sessualità animale paragonabile allo scambio emozionale della coppia umana adulta. La donna inoltre nell'epoca feconda ha ovulazioni mensili che moltiplicano le possibilità di un incontro riproduttivo. Ma proprio questa frequenza di possibilità porta con sé e apre lo scenario alla scelta: l'essere umano, dotato di attività corticale, può scegliere se percorrere la strada della riproduzione, se trasformare un atto di complicità affettiva e di scambio amoroso di piacere nella culla di una nuova vita. Questo garantisce che il piccolo possa venire al mondo in un ambiente adeguato che gli garantisca cure sufficienti perchè possa sopravvivere e farsi adulto. Nell'uomo maturo dunque la risposta al desiderio dovrebbe passare attraverso una valutazione pratica, razionale ed emotiva, della possibilità dell'evento.